Multitasking e attenzione

Ad oggi in costante evoluzione, ancora più dinamici e competitivi, i contesti aziendali richiedono sempre più spesso ai lavoratori la capacità di essere multitasking, ossia di saper compiere più attività contemporaneamente.

Si pensi, per esempio, a quando durante lo svolgimento di una determinata mansione siamo interrotti da un collega che entra nel nostro ufficio e ci pone una richiesta a cui dovremmo rispondere velocemente e, nel frattempo, squilla il telefono e veniamo chiamati in una riunione. Tutto ciò richiede di saper far fronte ad interazioni rapide con altre persone e la capacità di destreggiarsi velocemente tra numerosi stimoli.

Ma esiste davvero il multitasking?

Secondo la psicologia e le neuroscienze la risposta è negativa. Infatti, ricerche psicologiche hanno evidenziato l’esistenza di due attività che metterebbero a dura prova la nostra attenzione: le attività che richiedono di passare rapidamente da un’azione ad un’altra e quelle in cui dovremmo compiere più azioni parallelamente.

Intesa come capacità di selezionare e focalizzare gli stimoli percepiti nonché di attivare i processi di memorizzazione, l’attenzione è stata a lungo oggetto di studio da parte dello psicologo inglese E.C. Cherry, il quale ha teorizzato il celebre fenomeno noto come “Cocktail party”: immaginate di trovarvi in una sala piena di persone che conversano animatamente tra loro. In sottofondo potete sentire la musica trasmessa da un playlist. Anche voi state conversando piacevolmente con un interlocutore quando, improvvisamente, sentite a poca distanza da voi una persona pronunciare espressamente il vostro nome.

Ecco che, attirati da questo stimolo, ora prestate una maggiore attenzione alla conversazione più distante di cui riuscite a distinguere molto difficilmente le parole e date meno importanza a quella che stavate portando avanti in precedenza e di cui, invece, riuscireste a distinguere più facilmente le parole.

Questo fenomeno dimostra come la nostra attenzione funzioni da filtro selettivo: rispetto ai numerosi stimoli che ci arrivano dall’ambiente noi selezioniamo quelli più importanti e dedichiamo ad essi una maggiore attenzione. Il fatto, poi, che il nostro cervello sia in grado di prestare attenzione anche ad altri stimoli (tanto che siamo riusciti a captare il nostro nome dall’altra conversazione) non va ad avvalorare la tesi dell’esistenza del multitasking, anzi, è una controprova di come la nostra mente sia in grado di elaborare solo una certa quantità di informazioni.

Difatti, se il compito che stiamo svolgendo assorbe tutte le nostre risorse allora assorbe anche tutte le nostre attenzioni, se invece, come nel fenomeno del cocktail party, ne assorbe solo una parte, ecco che possiamo percepire altri stimoli.

L’attenzione presenta due principali modalità di funzionamento: I processi controllati ed i processi automatici. I primi richiedono l’impiego di risorse attentive e per questo hanno tempi di esecuzione più lenti, i secondi, invece, avvengono al di fuori della nostra consapevolezza e, dunque, non richiedono particolari risorse.

Immaginiamo ora il caso in cui, seppur guidando, conversiamo con il passeggiero alla nostra destra. Stiamo forse svolgendo due azioni contemporaneamente? Anche in questo caso la risposta è negativa. La guida, infatti, si presenta come un processo automatizzato: nato come processo controllato, con il tempo e l’esercizio è diventato automatico, ma al sorgere di determinate variabili torna ad essere un processo controllato. Pensiamo, per esempio, al caso in cui ci si trovi davanti un improvviso banco di nebbia. In questo caso la nostra attenzione verrebbe immediatamente focalizzata sull’attività della guida e non saremmo più in grado di conversare come prima. Possiamo perciò concludere che, pur essendo capace di elaborare in tempi rapidissimi un’enorme quantità di informazioni, il cervello presenta comunque una capacità d’azione limitata.

E alcune recenti ricerche neuroscientifiche supportano questa tesi. È stata individuata, infatti, la parte del cervello che si attiva quando passiamo da un compito all’altro: si tratta di un’area situata nella parte più anteriore della corteccia prefrontale. Attraverso la tecnica della risonanza magnetica si è registrato il funzionamento di questa zona cerebrale e si è scoperto che quando si svolgono più compiti contemporaneamente essa interrompe momentaneamente l’azione principale per poter prestare attenzione ai nuovi obiettivi, o rispondere a nuove richieste ambientali, per poi tornare, tuttavia, al punto di partenza e continuare da lì.

Cadiamo nell’errore di credere nell’esistenza del multitasking solo perché, quando svolgiamo compiti a noi familiari, il passaggio sequenziale da un’azione all’altra è talmente rapido che non viene percepito.

Comprendere questo meccanismo cerebrale rappresenta un punto di svolta per le aziende. Sfatato il mito del multitasking, difatti, si può andare a lavorare sulle reali aree di intervento offrendo finalmente alla propria community tutti gli strumenti necessari per diventare efficienti (self efficacy) e facilitando l’inevitabile passaggio sequenziale da un’azione all’altra.

 

Riferimenti

Albanese F.: Il cervello multi-tasking, (art) pubblicato su Neuroscenze.net.
D’Isa L.: Psicologia, Hoepli, Milano, 2008.
D’Isa L., Foschini F.: I percorsi della mente, Hoepli, Milano, 2008.
Nicoletti. R., Rumiati R.: I processi cognitivi, Il mulino, Bologna, 2011.

Fonte Video: Canale Next Level Life, pubblicato su YouTube, 2017.

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